“Noi, che sprechiamo i dolori.
Come li affrettiamo mentre essi tristi, durano,
a vedere se finiscono, forse. E sono invece
la fronda del nostro inverno, il nostro sempreverde cupo
uno dei tempi dell’anno segreto, ma non solo
tempo, – son luogo, sede, campo, suolo, dimora.”
Rilke, Decima Elegia duinese
Mi tornano spesso in mente questi versi, bellissimi.
Noi, che sprechiamo i dolori.
Perché è così difficile starci dentro.
“Quando ero ricoverato, sa quale era la cosa che più mi faceva arrabbiare? Gli amici che mi venivano a trovare e mi incoraggiavano, dicendomi ogni volta quanto mi trovassero meglio, anche se non era vero. Subito dopo, sulla scala dell’arrabbiatura, c’erano quelli che mi compativano, che mi ripetevano quanto fossi coraggioso.
Solo un amico ha saputo fare ciò di cui avevo bisogno: sedersi vicino a me e ascoltarmi, tranquillo, senza spaventarsi.”
“Detesto sentirmi dare pacche sulla spalla, concrete o metaforiche. Detesto sentirmi dare dei consigli su come dovrei reagire. Detesto chi mi dice cose stupide perché è in imbarazzo e non sa che dire. Non ho bisogno che mi dicano cose intelligenti. Ho bisogno che mi capiscano, che stiano in silenzio ad ascoltare i miei sfoghi.”
È difficile reggere il dolore, proprio ed altrui.
Noi, che sprechiamo i dolori.
“Quando finirà, dottoressa? Me lo sa dire lei?” No, non glielo so dire. Non so neanche dire se finirà, o che forme prenderà la sua vita con quel dolore.
Come li affrettiamo mentre essi tristi, durano, a vedere se finiscono, forse.
Ad agitarsi in modo scomposto si sprecano solo energie e si rischia di affogare, mentre ad affidarsi al mare, si rimane a galla, e poi magari si impara anche a nuotare.
Ma bisogna smettere di agitarsi, e stare.
Perché è solo così che riusciamo a vedere quel che è possibile in quel che c’è.
…son luogo, sede, campo, suolo, dimora.
Stare. Ascoltare. Fare spazio interiore. Reggere il silenzio dell’anima, e il rumore dei pensieri. Stare con quel che c’è così com’è, perché questa è la condizione per fare qualcosa di quel che c’è, e per riuscire a vedere ciò che appare solo quando le acque si calmano e il torbido si deposita sul fondo.
“Vedi, io vivo. Di che? Né infanzia né futuro
vengon meno…… Innumerabile esistere
mi scaturisce in cuore.”
Rilke, Nona Elegia duinese
eh già, essere capiti
anche chi ti ascolta a volte non capisce, e il dubbio che non si possa comprendere fino in fondo il dolore altrui, ti procura un senso di smarrimento: resterai l’unico a sapere quanto male ti sta facendo un dolore, di quanta voglia di resistere ti stia togliendo; e “l’altro” smarrito pure lui perché si rende conto di poter fare ben poco per contrastare questo lento struggimento…
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Sì, è difficile capire il dolore altrui. E per chi soffre, è difficile capire il dolore -seppur diverso- di chi sta accanto. Perché il dolore porta a chiudersi, il che spesso non è di aiuto, e peggiora il logoramento.
E il sentirsi impotenti è un’altra condizione difficile da reggere.
Si fa quel che si può. Ci si prova, a cercar strade percorribili. A guardar fuori dal proprio dolore, nonostante il dolore. A vedere l’altro che ti sta accanto. Non elimina il dolore, ma ci si sente meno soli.
Un abbraccio, Antonio…
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…Direi che è la chiave di volta di quasi tutto.
Ascoltare ancche quando non c’è nulla da ascoltare, essere vicini solo per il fatto di esserci e non dire nulla che possa rompere l’incanto.
Le persone speciali sanno come stare insieme al dolore, come farlo quasi scomparire solo in un attimo, sanno come lasciare un sorriso, una sensazione, un brivido quando sembra tutto perduto.
Non serve molto.
Solo una grande sensibilità.
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Sì, è vero. Serve sensibilità… Ci si augura sempre di incontrarla nel nostro prossimo… 🙂
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Ascoltare, sempre, a volte minuti lunghissimi e traboccanti di ansie e paure.
Poi occhi negli occhi, il sorriso e una stretta di mano, ferma, sincera, energica. Qualcuno intrepido a volte mi abbraccia, le nonnine mi baciano.
Tanto è fatica, tanto lo amo.
Grazie, a volte rispolverare le motivazione fa bene, anche tra le lacrime.
Grazie ❤
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🙂 sì, fa davvero bene… Ciao Claire, buona serata 🙂
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che bella riflessione. che bella riflessione davvero. per qualche verso, nella logica dell’ascolto, non la trovo distante, in realtà, da quella sull’eutanasia del post di ieri.
in questo caso credo che sia davvero diversa la prospettiva di un familiare, di un amico, da quella di un medico: sono fermamente convinto che in un percorso di formazione medica dovrebbe trovare molto, molto più spazio l’aspetto di comunicazione e relazione con il paziente.
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Davvero. E ci dovrebbe anche essere uno spazio di riflessione e di elaborazione del dolore. Perché spesso i medici rispondono male e non sanno gestire le relazioni coi pazienti perché non sanno gestire il carico di dolore con uni vengono in contatto quotidianamente. Non è facile. Capisco pazienti e familiari che si arrabbiano, ma a volte capisco anche i medici che non ce la fanno. Noi psicologi abbiamo supervisioni continue, spazi di riflessione e di elaborazione, i medici vanno ai convegni. Non basta. Non li aiuta.
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Io con il dolore ho un brutto rapporto. Per quanto sia consapevole che mi ha rafforzata molte volte, non ho mai imparato, nè imparerò mai a gestirlo. Ho bisogno che passi. Velocemente. E di solito non è così. Ci vuole moltissimo tempo e spesso ciò che causa dolore non passa. Siamo noi a vedere le cose sotto una luce diversa. Impariamo ad accettare a sopportare. E il dolore si trasforma in forza. Ma per me è un processo troppo lungo e tortuoso.
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È lungo per tutti…. Che abbiamo fretta che passi o meno… Dura quel che dura. Cerchiamo di fare di necessità virtù! Ciao 🙂
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Ascoltare prima di dire, prima di fare … ascoltare il suono delle parole, l’eco del silenzio.
Un bel post, grazie 🙂
un abbraccio
Affy
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🙂
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Stare. Ascoltare. Reggere il peso.
Forse, si può se si viene ascoltati…anche se il dolore sfianca e toglie
Buon domani
.marta
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Sì, essere ascoltati aiuta molto…
Buona giornata!
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