“Mi guardo intorno, e qui sto bene: ci sono persone sofferenti, come mia moglie, come me. Siamo tra simili. Ma quando la sera torno a casa, nella vita fuori da questo ospedale, mi sento un estraneo. Vedo gente felice, che fa la sua vita, sento voci a volume troppo alto, risate stupide.
Invece io vorrei solo quiete, toni bassi, silenzio.
Ascolto discorsi sulle vacanze appena fatte; ho smesso anche di andare su Facebook perché vedevo solo foto di mari, monti, luoghi lontani, facce sorridenti.
Provo un senso di fastidio per la normalità altrui, per quello che mi sembra un benessere inconsapevole. Mi irrita. Sarà anche invidia… Il fatto è che non faccio parte di quel mondo, non più: la malattia di mia moglie ci ha buttato fuori da lì.
Ora sono in viaggio, insieme ad altri compagni di sventura. Qui, posso persino sentirmi un privilegiato, perché la condizione di mia moglie è meno grave di altre. Fuori, sono travolto dalla normalità altrui.”
“Sa, mi capita sempre più spesso di sentirmi concentrata, assorbita in me stessa, seria. Chiusa selettivamente agli stimoli che sento fastidiosi. Li avverto, perché sono intorno a me, ma cerco di tenerli lontani, di ridurne l’invadenza. Vorrei tenerli fuori dalla porta, ma la porta non si può proprio chiudere del tutto. La socchiudo, e mi concentro su dove sono e su quel che devo fare.
Mi accorgo di essere più irritabile, mi infastidiscono troppe cose: il rumore, la maleducazione, la mancanza di rispetto, le vite che sembrano vuote, tutta superficie.
Sto bene quando chiudo la porta dell’ufficio e mi concentro sul lavoro. Sto bene a casa, nella mia quiete. Sto bene quando porto a passeggio il cane. Sto bene con i pochi amici che mi sono davvero vicini. Sapevo, separandomi, che sarebbe stata dura. E così è.”
Due storie diverse, che stasera mi fanno pensare ai versi di Auden:
“Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti…” (Funeral Blues)
Bisogno di silenzio e di raccoglimento, bisogno di fermare un mondo quotidiano divenuto estraneo, che butta fuori i sofferenti.
Stasera porto con me le loro parole, le loro storie.
Anch’io ho bisogno di silenzio e di raccoglimento: a contatto con l’essenziale sto bene. Le testimonianze di queste vite mi aiutano a tenere la barra dritta su ciò che è realmente importante.
Qui ritrovo il centro.
Ormai sono anni che vivo di Silenzio.
Fuori dalla porta trovo solo un mondo che non mi appartiene e, la storia che fino a qualche settimana fa ho raccontato sul mio Blog, è la prova di come ogni volta il tentativo di trovare una luce fuori dalla ‘stanza’ vada perduto.
Solo il Silenzio e poche intimità possono dare il vero ‘Senso della Vita’.
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🙂 Anche le intimità ci vogliono…
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Capisco il tuo bisogno di silenzio e di raccoglimento: condividere la sofferenza, talvolta, fa scoppiare il cuore e la testa. Lo so.
Ammiro quello che fai e, da come ne parli, come lo fai.
Caricarci della sofferenza di altri oltre alla nostra non è facile.
Grazie per le tue ultime righe 🙂
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🙂 grazie a te per la comprensione 🙂
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un mondo quotidiano divenuto estraneo, che butta fuori i sofferenti…
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A volte mi sembra di vivere in due mondi paralleli, un piede nell’uno e un piede nell’altro… Non è facile tenere l’equilibrio, ma ci provo. E anche scriverne sul blog, condividere stati d’animo e riflessioni, mi aiuta.
Ciao Marta, buon venerdì 🙂
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purtroppo abbiamo perso il senso ed il valore del “silenzio”….
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Per questo è importante riportarlo nelle nostre singole vite… 🙂
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Quanta tristezza ….
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Sì, ci sono viaggi davvero difficili e faticosi. C’è tanta sofferenza, oltre che tanta bellezza, nel mondo… Come scriveva Castaneda, bisogna cercare di tenere l’equilibrio tra il terrore di essere uomo e la meraviglia di essere uomo. Ce l’ho sempre molto presente 🙂
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chiara, tu fai un lavoro pesante dal punto di vista umano, ma hai una gran fortuna, credo: ti aiuta a relativizzare tanto, e valorizzare le cose preziose. tienila stretta, questa opportunità, vale davvero molto.
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Sì, ne sono consapevole e la tengo stretta. Mi aiuta davvero. Ed è anche per questo che amo il mio lavoro. Ostaseski, in un suo libro sull’accompagnamento dei malati terminali, scrive che alla fine non si sa chi accompagna chi. È vero, e non solo per quel genere di pazienti. Lo scambio che avviene ogni giorno è un dono prezioso per me, e spero aiuti anche loro.
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Un abbraccio a voi.
Mary
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Esiste un tipo di silenzio che ha la capacità di rigenerare in profondità, un silenio interiore che nutre e radica. E’ bello avere la capacità di ritrovare il nostro centro tutte le volte che ne sentiamo i bisogno.
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Per me quel silenzio è davvero vitale…
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